Condizioni per seguire Gesù (Luca 14, 26-27)

 


4 Settembre 1977

Figli miei, sia pace e grazia a voi! Ecco, siamo qui ancora per la nostra lezione. È la vostra attenzione il contributo che voi mi date! Così si facilita la comunicazione e il dialogo. Però, se dopo aver ascoltato, voi doveste essere pienamente soddisfatti e non procuraste di praticare ciò che vi viene detto, sareste come quei bambini che vanno a scuola ma non fanno i compiti, perciò ben presto dimenticano tutto.

Voglio oggi spiegarvi la pagina di Vangelo che si è letta nelle vostre chiese, riducendola a due sole frasi.

Dice Gesù: "Chi non odia suo padre, sua madre, i fratelli, le sorelle, non è degno di me!" (Luca 14, 26). Voglio anzitutto dirvi che non dovete intendere nel senso comune il verbo "odiare", perché nel linguaggio convenzionale ebraico, cioè la lingua parlata da Gesù, voleva significare semplicemente: chi mette il padre, la madre e i parenti al di sopra di me, non può essere in grado di seguirmi.

L'attaccamento alle persone in modo esagerato può stabilire dei rapporti non equi con Dio, così da ribellarsi a Lui per quelle contrarietà che potrebbero essere motivo di divisione.

Occorre ricordare i comandamenti della carità, perché tutto proceda con ordine: "Amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; e amerai il prossimo come te stesso".

L'amore di Dio deve essere al vertice di ogni pensiero e il motivo di ogni azione, perché ogni affetto possa trovare la sua giustificazione e rettitudine.

Quante volte la morte di un figlio o di una persona cara suscita nelle famiglie quella ribellione alla volontà di Dio, che culmina con la perdita della fede! Ciò non avverrebbe se l'amore che lega fra loro queste persone fosse vero, cioè fosse contenuto in quell'amore infinito che, legando le creature fra loro, le unisce a Dio.

Santificare i propri affetti, significa qualche volta moderarli e altre volte spezzarli, quando un'amicizia umana può essere pericolosa per l'anima o di scandalo ad altri.

Gesù è geloso del cuore degli uomini, ma al tempo stesso vuole che tutti si amino, tenendosi come sotto il suo manto regale o nel suo cuore, perché tutti abbiano ciò che è necessario per il proprio bene spirituale, morale e fisico. Se il vostro amore non è regolato dal suo, non sarà possibile accettare la sua volontà, e ne andranno di mezzo la pace e la serenità.

Passo però all'altra frase pronunciata da Gesù: "Se non saprete rinnegare voi stessi e prendere la vostra croce, non salverete la vostra vita!" (Luca 14, 27). Il problema del dolore è tra i più scottanti, poiché la natura umana si ribella al dolore, ed è difficile saperlo usare.

Vi parlo anzitutto del dolore che proviene dal rinnegare se stessi. Tutta una gamma di sofferenze è racchiusa in questo rinnegarsi, poiché rinnegare significa far tacere il proprio “io” fino a farlo soffocare: perciò, rinunciare a ciò che può essere di proprio gusto; far tacere l'orgoglio e l'egoismo; cercare la libertà dello spirito e la luce che viene da Dio, rinunciando alle proprie soddisfazioni e comodità.

Certamente è più facile sopportare una malattia che rinunciare alle richieste dell'amor proprio, che qualche volta si presenta sotto l'apparenza di virtù. Eppure, il Signore chiede a coloro che vogliono essere al suo seguito, questa sofferenza morale, questo lavorio spirituale, destinato a far morire l'uomo vecchio e a far risorgere l'uomo nuovo, che nella virtù conquista la somiglianza col Figlio di Dio.

Poi vi sono altre sofferenze che prendono il nome di croce. Oh, vorrei proprio ripetervi quelle parole che un imperatore vide scritte nel cielo e che gli diedero forza nel combattimento contro i nemici: "Con questo segno, cioè con la croce, tu vincerai!".

Anche voi sarete vittoriosi, se saprete spiritualmente dominare quelle sofferenze fisiche da cui non è esente nessuno. I diversi malanni, che ogni giorno si presentano con una gradualità diversa, dovreste vederli come quei doni d'amore con cui potete dimostrare, non solo il vostro amore per Dio, ma anche quello per i fratelli, in quanto che, con essi, li potete efficacemente aiutare.

Non ditemi che potete essere cristiani anche senza la croce! Con che cosa testimoniereste la vostra fede? E la manifestereste forse con tante lamentele e piagnistei, perché gli altri vi possano commiserare? La forza, che vi viene dal Crocifisso, deve essere usata per vincere voi stessi e per non rendere anche agli altri difficile la vita.

Sappiate essere pazienti, e sappiate confrontare la vostra croce con quella di Gesù, con la mia, e con quella di certe anime che, volontariamente, hanno offerto la loro vita e la loro sofferenza per i fratelli.

Figli, se il chicco di grano non marcisce, non può dare la spiga. Per mezzo del dolore maturano tutte quelle opere a cui gli uomini di Dio danno inizio.

Sapete perché nel mondo vi sono tanti contrasti e tante difficoltà nel fare il bene? Perché esso, come il buon seme, deve marcire! I contrasti, le calunnie, le dicerie, sono il concime che dà vita e che muove a cose grandi.

Dalla morte di Gesù venne la vita alle anime; dal dolore di ciascuno di voi viene quella forza che nella Chiesa porta a rinnovamenti spirituali efficaci a coloro che ne abbisognano. Siate perseveranti! Accettate la piccola croce, che vi consentirà di assomigliare a Gesù e che darà alla vostra persona una luminosità impareggiabile e gloriosa per tutta l'eternità.

Arrivederci, figli! Io sono la Vergine addolorata, e i vostri dolori li capisco e li condivido.

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