Nella casa dell'amore


18 Dicembre 1976 (a Legnano)

Figli diletti, eccovi qui, buoni e ferventi, in questo luogo santificato anche dalla sofferenza di molte persone, che vengono a cercare conforto alle loro pene nella fede e, nell'aiuto della scienza, la salute fisica.

Siete in un ospedale, che comunemente chiamate "la casa del dolore". Io però desidero cambiare questo nome. Desidero che questo ospedale sia chiamato "casa dell'amore". Perché e come avverrà questa trasformazione? Ecco, figli.

Il dolore va guardato con l'occhio di Dio, che lo volle nel mondo come purificazione. Da quando i nostri progenitori peccarono e fu pronunciata da Dio la condanna, il dolore abitò la terra. Sì, sarebbe stato un vero castigo se Gesù non fosse venuto sulla terra e non si fosse addossato, con i peccati degli uomini, le più grandi sofferenze, che furono in tal modo santificate. Fu da quel momento che il dolore, che poteva sembrare un peso, fu chiaramente indicato come dono d'amore.

Non ditemi che è difficile accettare questa verità, poiché ne avete dei segni bellissimi anche nella famiglia umana.

Quando una sposa può dire di amare veramente il proprio sposo? Quando, rinunciando ai suoi desideri e alla sua volontà, accetta e aderisce, in una completa dedizione, alla volontà dello sposo. Quando una mamma può dire di amare la sua creatura? Quando, pur nella sofferenza che la natura e Dio stesso ha voluto, dà alla luce il suo bambino. Nel dolore si testimonia l'amore. È una legge naturale e divina.

Avviene però che spesso, nel desiderio di possedere la salute e per l'insopportabilità del male, si riguarda la malattia come una condanna, con riluttanza e quasi con odio. Come vorrei rendervi convinti e coscienti della realtà!

Vi sono, nei disegni di Dio, cose meravigliose che vi saranno svelate soltanto in paradiso. Dio, che sa trarre il bene anche dal male, è il solo in grado di usare ogni cosa per il bene delle anime. Sapete, figli, quante persone si sono salvate dalla morte eterna, solo perché colpite da una malattia che ha impedito loro di fare il male?

Ma vi è anche un motivo che difficilmente si capisce e che dovrebbe far amare la sofferenza. Ditemi, perché Gesù ha potuto espiare i peccati degli uomini? Per la sua innocenza, oltre che per la sua divinità.

L'innocenza delle creature umane dovrebbe essere la virtù che renderebbe inutile il soffrire. Ma osservate ciò che avviene, e che voi stessi potete costatare. In questo mondo soffrono molto di più i buoni che i cattivi. Come potete darvi una spiegazione? È la stessa che vi darebbe Gesù: perché gli innocenti, i buoni, sono coloro che, trasformando il dolore in amore, possono collaborare con Gesù alla salvezza delle anime.

È pur vero che il demonio lascia nella tranquillità coloro che vivono in peccato, mentre disturba nell'anima e nel corpo i buoni, ma voi stessi potete capirne il motivo. Chi vive in peccato è già possessione del demonio, ed anche se gode in questo mondo di beni naturali, il demonio non ha nulla da perdere.

Chi sa accettare la croce, la malattia, le contrarietà, e le usa per sé e per gli altri, diventa come il parafulmine della società. Direi che diventa una forza motrice che, attraverso l'infermità e la sofferenza, comunica la vita agli altri, a coloro che forse in apparenza sono vivi, ma vivono in un corpo di morte una vita apparente.

Io sono accanto al letto dei sofferenti e benedico coloro che s'interessano dei loro bisogni e accudiscono alle loro necessità. Ecco perché, quella delle infermiere e degli infermieri, deve essere considerata una vera missione.

Ma vi sono due categorie di persone che devono sempre più perfezionarsi per arrivare a compiere con esattezza i loro doveri. Parlo dei medici, che nell'esercizio della loro professione dovrebbero fare continuamente ricorso a Colui che è il Medico per eccellenza, e che dovrebbero esercitare come un vero sacerdozio, sollevando i corpi e aiutandoli a risalire dall'umano allo spirituale, perché Dio intervenga e compia ciò che forse essi non arrivano a fare.

Vi è poi l'altra categoria che mi sta tanto a cuore, e sono le religiose, che nell'ospedale devono tener viva la fiaccola della fede e devono rappresentare la Chiesa.

La carità, figlie mie, da cui dovete essere animate, deve essere il vostro abito più bello, da indossare tutti i giorni. Tutti devono sentire che il vostro cuore non è indurito dalla presenza continua del dolore, ma devono scoprirvi una tenerezza materna ed un affetto fraterno. Tutti devono essere convinti che l'assistenza tecnica, che pure ha il suo valore, non soffoca il pensiero di Dio, a cui avete dedicato la vostra vita.

Lo so che avete scelto una vita di sacrificio che vi sarà altamente rimunerata nel cielo dallo Sposo delle anime vostre, ma ciò non toglie che vi dobbiate perfezionare così da rappresentarmi in ogni corsia. Solitamente si mettono delle statue in ogni reparto, ma voi dovreste essere considerate come la più bella madonna, anche se l'età e il lavoro vi fanno invecchiare.

Anche al cappellano e a tutti i cappellani vorrei rivolgermi, perché l'assiduità nell'esercizio del loro ministero non permetta a nessun malato di morire senza Sacramenti, e perché non manchi ogni giorno la loro benedizione, sala per sala, ai malati. Benedizione che io avvaloro. Ma ne parlerò in altri incontri. Ora il mio incitamento va agli uomini, specie ai laureati presenti, perché si riuniscano col sacerdote, mio figlio prediletto, e facciano di questi messaggi motivo di studio.

Vi benedico, figli. A voi se ne uniranno molti altri. Benedico tutti i malati e coloro che fanno parte dei volontari della sofferenza. Benedico le religiose, ed estendo la mia benedizione a tutta la congregazione. Vinto il rispetto umano e resi entusiasti per il bene, siate tutti miei araldi. Il mondo abbisogna di ciascuno di voi!

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